Shelf-life degli alimenti: significato e considerazioni utili per i ristoratori

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In un contesto in cui, quando si parla di cibo, la qualità è ormai il punto di partenza e in cui i consumatori sono sempre più attenti ai prodotti che consumano, la shelf-life dei prodotti alimentari è la base imprescindibile per chi opera in questo settore. Cos’è, allora, la shelf-life degli alimenti? Qual è il suo significato concreto e quali sono i suoi campi di applicazione? Vediamone nel dettaglio la definizione, per capire anche come migliorare la conservazione dei prodotti nell’ambito della ristorazione.

Cos’è la shelf-life dei prodotti alimentari: definizione e significato

Tradotto letteralmente dall’inglese, shelf-life significa “vita di scaffale” e, nell’ambito della sicurezza alimentare, è anche identificato come “durabilità” o vita commerciale di un prodotto.

In concreto, il significato di shelf-life degli alimenti è espresso dalla norma UNI 10534-2005 e identifica il periodo di conservabilità del prodotto, tra la produzione e il consumo, senza che ci sia una perdita significativa delle qualità organolettiche, chimiche, fisiche, microbiologiche e strutturali dell’alimento e, quindi, senza pericoli per la salute.

Questa indicazione è tanto più importante quanto più un prodotto è deperibile, come nel caso di molti alimentari (ma anche per i medicinali, i cosmetici e altri prodotti chimici), e rappresenta la certezza per distributori, operatori Ho.Re.Ca e consumatori che l’alimento, se ben conservato, non ha subito variazioni sostanziali di sapore, odore e colore, o la perdita di nutrienti e vitamine.

Shelf-life degli alimenti, data di scadenza e termine minimo di conservazione: normativa ed etichettatura

Due concetti accomunabili con quello di shelf-life sono la data di scadenza e il termine minimo di conservazione. Attenzione, però, non si tratta della stessa cosa, come ben chiarisce la normativa: se shelf-life ha un significato più generico, data di scadenza e termine minimo di conservazione sono le sue declinazioni più specifiche che il Regolamento UE 1169/2011 impone di indicare sull’etichetta degli alimenti.

Il Termine Minimo di Conservazione di un Alimento (TMC) è la data entro la quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà organolettiche in adeguate condizioni di conservazione e corrisponde alle diciture “Da consumarsi preferibilmente entro il”.

Si tratta dell’indicazione obbligatoria per gli alimenti non deperibili o poco deperibili che, per caratteristiche proprie o per i trattamenti che hanno subito durante la produzione, non presentano un rischio di crescita microbica elevato e che, anche se col tempo subiscono alcune alterazioni, non sono un pericolo immediato per la salute dell’uomo. Alcuni esempi?  I prodotti da forno, la pasta secca, i legumi o i cereali.

La data di scadenza, invece, riguarda gli alimenti molto deperibili dal punto di vista microbiologico, quelli che comunemente vengono conservati a basse temperature, come carne, formaggi, frutta e verdure, e che più rapidamente possono mostrare segni di alterazione e (soprattutto) rappresentare un pericolo per la salute. Per questi alimenti la shelf-life ha una durata inferiore, nell’ordine di giorni o settimane, e la data limite deve essere comunicata dalla dicitura “Da consumarsi entro” e l’indicazione di giorno, mese e anno di scadenza in forma chiara.

La shelf-life validation

Entrando maggiormente nel dettaglio, si deve distinguere tra la:

  • shelf-life primaria: il periodo che intercorre tra la produzione e l’apertura del packaging del prodotto alimentare;
  • shelf-life secondaria (o shelf-life residua): il periodo dopo l’apertura.

È chiaro che la conservazione degli alimenti, soprattutto dopo che ne viene alterata la confezione, incide in maniera determinante sulla loro durabilità. Per questo le etichette devono completare la data di scadenza o il TMC con le indicazioni delle modalità di conservazione pre e post apertura del packaging.

Ma come si fa a determinare la shelf-life degli alimenti? La normativa non stabilisce il procedimento esatto della shelf-life validation, ma attribuisce ai produttori ogni responsabilità di determinazione, individuando delle linee guida.

I produttori, in sostanza, hanno l’obbligo di condurre una serie complessa di sperimentazioni, affidandosi a laboratori specializzati, per comprendere come reagisce il prodotto nel tempo in base alla ricetta, al packaging e alle condizioni di trasporto, stoccaggio e messa in vendita, fino a determinare l’esatto periodo e le modalità di conservazione idonee ad assicurare che l’alimento sia integro.

Come migliorare la conservazione alimentare

Diversi sono i fattori che possono incidere sulla shelf-life degli alimenti: luce, umidità, sollecitazioni meccaniche, deterioramento del packaging e, ovviamente, la contaminazione di batteri, muffe, parassiti o addirittura animali (topi, blatte, ecc.).

Sicuramente, però, il modo migliore per rispettare la shelf-life e migliorare la conservazione alimentare è avere il massimo rispetto dei parametri di temperatura pre e post apertura indicati sull’imballaggio.

La regola che vale in generale è che all’aumentare della temperatura diminuisce la shelf-life, e viceversa, visto che il calore accelera le reazioni chimiche (che possono anche raddoppiare con un aumento di 10 °C). Tutto è chiaramente relativo alla tipologia di alimento e al suo packaging, ma per certo il controllo delle temperature è uno step fondamentale per una conservazione duratura. Ma non solo, anche la corretta gestione delle scorte e della rotazione del magazzino facilita il consumo degli alimenti molto prima dell’esaurimento della shelf-life, evitando anche il rischio di generare spreco alimentare nei ristoranti.

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